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1.623 Commenti

  1. Australe

    L’Italia che non riparte: Il bilancio di fine anno per l’Italia è magro. Il 2015 si avvia a chiudersi ben diversamente da come qualcuno raccontava e da come tutti speravano. La ripresa economica ha perso slancio anziché prenderne con il passare dei trimestri. Sì, è vero, ci siamo lasciati la recessione alle spalle, e non è poco, considerato che ce la trascinavamo dietro dal 2008 e che ci ha fatto perdere 10 punti di pil – in soldoni 150 miliardi – e si è mangiata un quarto della nostra capacità produttiva industriale. Ma proprio perché è così tanto ciò che dobbiamo recuperare – e solo per riallinearci al 2007, cioè l’anno che concludeva un quindicennio di stagnazione economica in cui il nostro paese ha perso il treno di due rivoluzioni epocali come la globalizzazione e l’avvento della tecnologia digitale – proprio perché, si diceva, è enorme il gap che dobbiamo colmare, che certo non c’è da essere allegri se chiudiamo l’anno con un più zero virgola. Che poi sia 0,7 o 0,8 poco importa: è comunque troppo poco. Anche perché questo risultato lo abbiamo conseguito in un quadro congiunturale mai così favorevole: liquidità, tassi a zero, petrolio a prezzi stracciati, cambio che favorisce le esportazioni. Senza questi “aiutini” esterni, saremmo ancora in recessione, altro che “l’Italia è ripartita” e compagnia sloganante.

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    • Euclide

      Che vergogna, la stampa non mette in risalto queste notizie, anzi le nascondono per bene, credendo che i cittadini siano cretini… Ma i cittadini comprano sempre meno giornali poiché preferiscono informarsi nel web da fonti indipendenti

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      • Piero76

        Non disperarti Euclide, c’è di peggio, con le tasse che i governanti ci prelevano dalle tasche il governo finanzia i giornali, quindi la parziale o subdola informazione governativa: è noi paghiamo e taciamo!

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  2. Pieralberto

    DAL CORRIERE DEL VENETO DEL 17 DIC 2015 – LEGGIAMO:

    Veneto Banca, l’ultimatum della Bce
    Lettera della Banca centrale (che dovrà essere letta in assemblea) : «Approvate spa, aumento di capitale e Borsa o finite sotto tutela»

    VENEZIA «Veneto Banca è a un bivio». O l’assemblea approva tutti i tre elementi all’ordine del giorno sabato – trasformazione in spa, aumento di capitale fino a un miliardo e quotazione in Borsa, che il cda ha chiamato «Progetto Serenissima» – o le conseguenze potranno essere dirompenti. Previsione che non sta più solo nelle lettere che il presidente della popolare di Montebelluna, Pierluigi Bolla, ha inviato ai soci in vista dell’assemblea, bollate come «terrorismo» dal fronte più duro dei comitati. Perché l’elemento sta ora in una lettera del 9 dicembre che Banca centrale europea ha inviato al consiglio di amministrazione della popolare di Montebelluna, e che suona nei fatti come un ultimatum. È la stessa Veneto Banca ad informare del documento, nelle ulteriori relazioni illustrative predisposte per i soci, pubblicate ieri su richiesta della Consob. La lettera, a cui, «su disposizione stessa» di Francoforte,come si legge nella relazione predisposta da Veneto Banca, «verrà data integrale lettura nel corso dell’assemblea», non è ancora nota nella sua completezza.

    Ma gli stralci pubblicati sulle relazioni bastano a restituire il quadro di emergenza in cui la popolare riunisce sabato l’ultima assemblea a voto capitario e dove si gioca la sua stessa sopravvivenza. Nella lettera, riferiscono le relazioni, Bce ribadisce la preoccupazione per «la riduzione dei coefficienti patrimoniali attribuibile alle perdite finanziarie degli ultimi tre anni», quasi 1,9 miliardi tra dicembre 2012 e settembre 2015. E ripete che su spa, aumento e quotazione, «l’approvazione di tutti e tre gli elementi del progetto Serenissima da parte dell’assemblea e la tempestiva attuazione del piano sono ritenuti della massima importanza al fine di ripristinare il rispetto dei requisiti patrimoniali secondo le modalità rappresentate dal cda».

    E poi ancora scrive la Bce: «Veneto Banca è a un bivio. Nel caso in cui uno qualsiasi degli elementi del progetto Serenissima non fosse approvato e la banca non rispettasse i suddetti requisiti, si renderebbe necessario adottare idonee misure di vigilanza». Ovvero, nei fatti, il commissariamento. Esito dirompente, che rende evidente il contesto di emergenza. Che impone, come sostengono le relazioni, «che le operazioni di aumento di capitale e di quotazione siano realizzati in tempi stretti». Entro aprile «nella tempistica condivisa con Bce» (e che va probabilmente concluso entro giugno, stante che l’accordo di garanzia con Banca Imi scade il 30 di quel mese). Dalle relazioni emergono molti elementi da cui si ricostruisce l’anno difficile di Veneto Banca intorno alle decisioni sul tavolo sabato, con la Bce e il collegio sindacale che paiono tallonare in maniera pressante cda e management da febbraio, in un progetto che pare arrivare alla svolta a settembre. Tra gli elementi che emergono, quello ad esempio che Veneto Banca, il 7 luglio, aveva proposto alla Bce un piano di ricapitalizzazione che prevedeva «di realizzare un primo aumento di capitale» da 360 milioni ancora da popolare, per rientrare al di sopra dei livelli minimi, per poi completare il processo con la trasformazione in spa e la quotazione in Borsa, attraverso cui sarebbe passato anche la seconda tranche dell’aumento di capitale.

    Ma la Bce boccia il piano mandato avanti in maniera esplorativa. Troppi, probabilmente secondo Francoforte, i rischi di un’esecuzione di questo tipo, visti i precedenti. Criticato anche in termini di trasparenza, perché, se attuato al valore nominale di 3 euro, avrebbe comportato il rischio di consegnare la banca da popolare, per cifre ancora limitate, a un ristretto numero di soci, una volta trasformata la banca in spa. A quel punto il cda, il 21 luglio, approva lo schema che va ora in assemblea. E che accelerare a settembre: dall’1 settembre al 2 dicembre 10 riunioni del cda e 4 tecniche sul diritto di recesso, che arriva al primo punto nei cda del 17 novembre, che stabilisce la forchetta di prezzo di recesso tra 6,2 e 7,6 euro sulla base delle relazioni dei due consulenti Kpmg e Partners, e il 2 dicembre, che lo stabilisce con l’esito-choc di 7,3 euro. Comunque nella parte alta, scendendo a 7,3 di fronte ai 33 milioni versati per il salvataggio delle quattro banche commissariata (Cariferrara, Etruria, Marche e Chieti), che da solo vale un taglio del valore di 0,26 euro.

    Nel dettaglio delle valutazioni sul prezzo di recesso, la relazione di Kpmg, applicando quattro metodi di valutazione, arriva ad una conclusione che fissa l’attuale valore di Veneto Banca tra 674,6 e 1.013,5 milioni di euro, con un valore delle azioni tra 5,5 e 8,3 euro. In parallelo, le valutazioni condotta dai docenti Angelo Provasoli e Massimiliano Nova per Partners, fissano gli stessi valori tra 756 e 931 milioni di euro, con un prezzo delle azioni tra 6,2 e 7,6 euro. Le relazioni mettono a fuoco poi altri punti decisivi. A partire dalla spada di Damocle che incombe sul futuro di Veneto Banca: le cause dei soci sul fronte delle azioni, che rischiano di erodere in futuro il capitale ricostituito dopo l’aumento. Minando il rilancio in autonomia, o rilanciando i dubbi di potenziali partner nelle aggregazioni. Il cda, spiegano le relazioni «condivide il potenziale rischio», ma è impossibilitato a far valutazioni sui numeri e sugli accantonamenti, trattandosi per ora di reclami sulla mancata vendita delle azioni non ancora trasformatasi in cause, con relative quantificazioni danni.

    Veneto Banca spiega poi che l’aumento di capitale e le vendite previste (dall’Istituto centrale banche popolari a Banca Intermobiliare) portano l’indice di capitale del Cet1 all’11,5% nel 2016; che scenderebbe al 10,9% senza la vendita di Bim (ritenuta però «poco probabile, stante le manifestazioni di interesse ricevute»). Resterebbe uno 0,4% di capitale utile per affrontare sia eventuali cause nel 2016 che un impatto in crescita sul capitale da sterilizzare a causa delle azioni acquistate con finanziamenti della banca (fissate a 286 milioni, ma che la Bce aveva fissato a 337 nell’ispezione di quest’anno). Quanto vale lo 0.4% di capitale? Secondo il bilancio al 30 settembre, 144 milioni, che così quantifica lo 0,4% in più che deriverebbe in termini di capitale dalla vendita di Icbpi. Infine la questione dell’aumento di capitale garantito fino a un miliardo, con il preaccordo con Banca Imi firmato il 4 novembre e che dovrebbe ora portare alla costituzione di un consorzio di garanzia, come anticipato dall’amministratore delegato Cristiano Carrus, entro fine anno.

    Le condizioni perché avanzi sono precise: i conti finali 2015 e le richieste di capitale non devono cambiare rispetto a quanto visto a settembre; e ancora l’approvazione di tutti e e tre gli elementi all’ordine del giorno sabato. Retrospettivamente, le relazioni mostrano poi come il blocco dei rimborsi ai soci che puntano al recesso sia un termine stabilito precisamente dall’accordo con Banca Imi…

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  3. Pieralberto

    Voglio segnalarvi l’articolo di libero su Banca Etruria.
    Uno scampolo della gestione del credito all’italiana o meglio della tipica provincia italiana!!!
    Anche il Veneto ha un’ampia analoga produzione.
    “”””
    BANCA ETRURIA SPENNAVA I RISPARMIATORI MA FACEVA FELICI I GIORNALISTI – A LIBRO PAGA PER LA RIVISTA “ETRURIA OGGI” GRASSO, CAZZULLO, ACCATTOLI, ETC.
    MA ANCHE ECONOMISTI DI PUNTA COME GIACOMO VACIAGO, LORETTA NAPOLEONI, SALVATORE BRAGANTINI E NOTISTI POLITICI COME STEFANO FOLLI

    Ma più che quelle collaborazioni, nell’ultimo anno
    prima del crac, a Banca Etruria avevano pesato ben altre consulenze. Gli advisor cui era stato dato mandato per trovare una banca con cui sposarsi (Rotschild, Lazard e Kpmg advisory) e gli advisor legali con in testa lo studio di Franzo Grande Stevens

    Franco Bechis per “Libero Quotidiano”

    C’era chi, come il socio Attilio Brilli, si complimentava perfino in assemblea per un’attività meno conosciuta di Banca Etruria: quella editoriale. Applausi per «la pubblicazione da oltre 25 anni della collana di libri dedicata alle singole sedi dell’Istituto». E soprattutto per «la qualità della rivista Etruria Oggi, impreziosita da prestigiose firme a livello nazionale ed internazionale».

    Era il 4 maggio 2014, l’ultima assemblea dell’Etruria di cui esista il verbale stenografico. Fu quel giorno che i soci impalmarono Lorenzo Rosi alla presidenza e Pier Luigi Boschi alla vicepresidenza, per il vertice che avrebbe terminato assai velocemente l’avventura finendo nelle maglie del commissariamento.

    Certo, con tutto l’arrosto a tema quel drammatico giorno in cui l’assemblea della banca aretina doveva prendere atto dei pesanti rilievi della Banca d’Italia, di una perdita di 81,2 milioni di euro, della necessità di spendere nuovi soldi in consulenze per cercare di fare sposare l’istituto di credito con qualcuno più forte in grado di assorbirlo, quel riferimento alla rivista aziendale è sembrato curioso fumo.

    Eppure non fu l’unico intervento, altri soci misero nel mirino quella rivista, chiedendo ragione di spese inappropriate in un momento così grave. Vibrante l’intervento di Piero Lega, socio che si presentò proveniente «dalla lontana parrocchia di Anghiari». E altri ancora.

    Fino a quel giorno sembrava che nessuno si fosse occupato della rivista, che pure esisteva da 32 anni. Difficile oggi capirne il motivo: la rivista è ufficialmente sparita anche dal sito internet dell’Etruria. Tutti i numeri in pdf che erano stati caricati sopra sono stati tolti.

    Un solo numero è ancora rintracciabile e sfogliabile solo on line attraverso la macchina del tempo di internet: quello del dicembre 2014, numero 90. La fotografia di molte copertine dal 2008 in poi è ancora rintracciabile sull’account Pinterest della Banca, che deve essere sfuggito ai censori.

    Siccome sulla prima pagina della rivista (che era accompagnata da un inserto a parte, Etruria Oggi Informa) di carta patinata si esponevano in calce con orgoglio i collaboratori del numero, è facile scoprire come dovesse esserci la fila di molte firme di punta del giornalismo italiano per apparire lì. Chissà se per la generosa tiratura della rivista (non meno di 20 mila copie a numero, e una mailing selezionata a cui inviarla, che comprendeva la classe dirigente politico-economica italiana) o se per i generosi borderò che preoccupavano i piccoli soci della banca.

    Fatto sta che su Etruria Oggi collaboravano penne di primissimo piano, con una certa predilezione per la squadra del Corriere della Sera con sui sembrava quasi esserci una intesa editoriale. Si possono trovare profondi articoli di Aldo Cazzullo, lo specialista in grandi interviste nel quotidiano rizzoliano. Ma anche copertine firmate dal vaticanista Luigi Accattoli, profonde riflessioni sulla comunicazione del critico tv del Corriere, Aldo Grasso.

    Interventi planetari del principale commentatore di politica estera, Franco Venturini. Articoli sul costume e la psiche della firma specializzata di Corriere e Io Donna, Silvia Vegetti Finzi. E ancora, Salvatore Bragantini, ex commissario Consob ed editorialista del Corriere della Sera. Ha attraversato tre giornali collaborando a Etruria Oggi anche Stefano Folli, all’inizio Corriere della Sera, poi Sole 24 Ore e infine Repubblica. Da quest’ultimo giornale proviene Andrea Tarquini (corrispondente di Repubblica per la Germania), che firma la cover del numero 90 della rivista nel dicembre 2014 raccontando la storia della Lego.

    Sullo stesso numero, con bel richiamo in copertina Leonardo Maisano, corrispondente da Londra del Sole 24 Ore racconta la voglia di secessione scozzese. Andrea Gennai del Sole 24 Ore, autore anche del fortunato blog Meteo Borsa, si esibisce invece in due pagine su «Un distretto d’oro», raccontando ovviamente la storia degli orafi aretini che hanno saputo difendersi dalla crisi puntando sul made in Italy. Processo – scriveva Gennai – «che ha interessato anche la banca di riferimento del territorio, Banca Etruria (…)», istituto «che ha dovuto ripensarsi a fronte di un mercato che stava mutando velocemente e in presenza di volumi che di anno in anno scendevano».

    In altri numeri della rivista si sono espressi firme de La Stampa come Aldo Rizzo, della Rai, o economisti di punta come Giacomo Vaciago (anche lui editorialista del Sole 24 Ore) e Loretta Napoleoni (videoblogger per il Fatto Quotidiano, ex collaboratrice del’Unità e rubrichista del Venerdì di Repubblica). C’era la fila di grandi firme dunque a Banca Etruria.

    Ma più che quelle collaborazioni, nell’ultimo anno prima del crac, a Banca Etruria avevano pesato ben altre consulenze. Lo si capisce dall’unico rapporto lasciato in eredità dalla gestione commissariale che riassume la situazione finanziaria al 31 dicembre 2014 (un disastro con una perdita di 526 milioni di euro) e gli avvenimenti successivi del 2015.

    Fra i tanti costi amministrativi che salgono decisamente con la gestione dell’ultimo presidente, Rosi, e di papà Boschi, si spiegano i 9,5 milioni del capitolo sulle consulenze «legate alle varie fasi della tentata operazione di aggregazione, nella quale la banca è stata impegnata nel corso di esercizio».

    Costi che debbono essere divisi fra quelli per gli advisor veri e propri cui era stato dato mandato per trovare una banca con cui sposarsi (Rotschild, Lazard e Kpmg advisory) e gli advisor legali che dovevano valutare il contratto matrimoniale, con in testa lo studio di Franzo Grande Stevens, il legale di fiducia del gruppo Fiat per decenni.

    Consulenze peraltro inutili, perché la sposa fu pure trovata: la Banca Popolare di Vicenza, che offrì un euro per azione come dote (più del doppio del valore delle azioni Etruria in quel momento), ma fu respinta con perdite da Rosi e Boschi.

    http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/banca-etruria-spennava-risparmiatori-ma-faceva-felici-giornalisti-115159.htm

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  4. Edo88

    Una percentuale dei politici e dei lavoratori e funzionari pubblici sono persone encomiabili, è sbagliato fare di tutta l’erba un fascio!
    Vanno individuate le mele marce che ci sono in tutta la società, anche fra gli imprenditori, e vanno ricondotte al dovere
    Questa è la vera maturità e serietà di un popolo!

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    • Gianni-Ma

      Hai totalmente ragione Edo; inutile e dannoso far credere che la responsabilità della crisi economica risieda in tutti i politici o statali; bisogna cercare di essere obbiettivi, e sopratutto non parlare con la pancia ma con la testa.
      Ci sono persone nel pubblico, e nelle nostre amministrazioni, sopratutto fra i sindaci, che sono valenti lavoratori, pieni di altruismo ed abnegazione e sarebbe deleterio far credere a questi, che lavorano per noi e che servono noi, che non apprezziamo il loro operato.
      Impariamo ad essere obbiettivi e sopratutto GIUSTI, ed a riconoscere che i giudizi affrettati, sopratutto grossolani e senza analisi, sono degli stupidi.. e non dei cittadini intelligenti ed onesti

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  5. Rudy

    DOVE METTERE I SOLDI AL SICURO?
    speriamo che queste banche che avendo giocato e speculato, ritornino ad essere solide, MA NEL CONTEMPO DOVE METTERE I SOLDI?
    Nell’acquisto di immobili di pregio, qualità e nelle giuste collocazioni
    VEDRETE CHE, COME PER LE BARCHE, LE TROPPE TASSE SULLA CASA RITORNERANNO RAGIONEVOLI e così ritornerà ad essere conveniente l’investimento corretto ed equilibrato negli immobili
    ALMENO QUI GLI INVESTIMENTI, I VOSTRI SOLDI, SARANNO AL RIPARO DEI LADRI E DEI FURBASTRI O STRUMENTI FANTASIOSI FINANZIARI CHE VI LASCIANO SUL LASTRICO

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    • Matteo63

      SPERIAMO! come si dice la speranza è l’ultima a morire;
      I governanti degli ultimi anni, sono stati incapaci di gestire l’economia,
      Hanno prodotto dei danni incalcolabili! ad esempio:
      – L’edilizia ha perso il 50% delle imprese e gli immobili dal 30 al 50% del proprio valore congelando le transizioni, il mercato è crollato! e sappiamo che in tutti gli stati l’edilizia con l’indotto riveste un valore strategico, pesa dal 20 al 30% nel fermare o nel far ripartire lo sviluppo
      – Le imprese fallite, quelle storiche o che avevano tanti dipendenti, sono fallite in una percentuale del 30% negli ultimi 10 anni; e vi raccontano balle dicendovi che fra morte e nate c’è il pareggio, balle perchè a morire sono state imprese strutturate, grandi, con tanti dipendenti mentre a nascere sono spesso imprese micro o uninominali
      – L’Italia era la prima al mondo nella costruzione di Barche e Yachts, grazie a stupide tasse e terrorismo della finanza hanno fatto fallire l’intero settore, che ha perso a livello nazionale fra l’80 ed il 90%; ora si sono accorti dell’idiozia ed hanno tolto queste tasse terroristiche!
      VOLETE ALTRI ESEMPI? per capire da chi siamo amministrati (barboni/casta burocratica) e dal livello dei politici che fanno le leggi contro l’impresa? (catto-sindacal-comunisti) ? quelli di sx odiano l’impresa, quelli di dx sono spesso incapaci nell’economia, e questo non è qualunquismo ma dati reali e constatazioni sui numeri! e quindi continueranno a distruggere la struttura economica e quindi ci impoveriranno ulteriormente?
      SI fintantochè i cittadini non imparano a documentarsi, valutare la storia e le professionalità, votando chi ha caratteristiche per guidarci fuori dal guado!

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    • Edoardo Pitalis

      quando l’economia non va bene qualsiasi investimento è a rischio; dobbiamo tutti lavorare per far andar bene l’economia, questa è l’unica soluzione e basta chiacchere inconcludenti, sopratutto in TV, che anzichè cercare la verità e le soluzioni polemizzano come un mantra sulle stesse cose e soggetti scontati

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  6. Antony

    DICIAMOCI LA VERITÀ’
    Governo, Banca d’Italia, CONSOB, ABI e poteri vari hanno permesso alle banche l’emissione di azioni ed obbligazioni DEPREDANDO i cittadini, sopratutto i risparmiatori, pensionati e povera gente.
    Un governo che è debole con i potenti e forte con i deboli, anziché essere forte con i potenti (banche) e magnanimo con i deboli è un governo da disprezzare e che non è democratico

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  7. Artcraft1

    I cervelloni di Confindustria non sanno, o fanno finta di non sapere, che una parte dell’evasione, sopratutto nei piccoli artigiani, imprese e commercianti è una evasione di sopravvivenza?
    Se fossero costretti a pagare fallirebbero e quindi il danno, la perdita per lo stato, disoccupazione e reddito dei cittadini, sarebbe ben di più di quanto evaso per sopravvivere, per non chiudere o fallire
    CONFINDUSTRIA PERCHÉ FA QUESTI INTERVENTI?
    “””Da il fatto quotidiano del 16 dic 2015
    I conti del governo in materia di evasione fiscale non tornano. A sostenerlo è la Confindustria che ha presentato a Roma il rapporto “L’evasione fiscale blocca lo sviluppo“. La relazione considera “insufficiente” la stima contenuta nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def), “pari a 91,4 miliardi di euro, in media, nel periodo 2007-13″. Le previsioni nella nota al Def “mostrano carenze che le rendono ancora inadeguate a rappresentare correttamente la realtà e a essere utilizzate come strumenti di policy”, sostiene il Centro studi di Confindustria (Csc). Quest’ultimo ha calcolato in un 3,1% di maggiore Pil e in oltre 335mila occupati aggiuntivi il beneficio che deriverebbe da un dimezzamento dell’evasione accompagnato dalla restituzione ai contribuenti, attraverso l’abbassamento delle aliquote, delle risorse riguadagnate all’erario.

    Si tratta di cifre ben superiori rispetto a quanto sostenuto dalla nota di aggiornamento governativa. Il Centro studi scrive che in Italia l’evasione fiscale e contributiva ammonta nel 2015 a 122,2 miliardi di euro, pari al 7,5% del Pil. In particolare al fisco vengono sottratti quasi 40 miliardi di euro di Iva, 23,4 di Irpef, 5,2 di Ires, 3 miliardi di Irap, 16,3 di altre imposte indirette e 34,4 di contributi previdenziali. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha commentato dicendo che in Italia l’evasione ha una dimensione “assolutamente patologica, che porta ad una distorsione della concorrenza e alla violazione di un patto sociale”. “Il mio concorrente peggiore è sempre stato chi non paga le tasse”, ha sostenuto il patron di Mapei.””””

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    • Piero-Altieri

      Perché Confindustria non protesta o non fa azioni contro la asfissiante burocrazia e la soffocante pressione fiscale che costringe, per sopravvivere, ad evadere ?
      Che ipocrisia ha confindustria

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  8. Led45

    Incredibile ma vero! Seguo le TV e giornali e leggo che il governo ha fatto una legge per salvare il culo agli ex amministratori delle 4 banche oggetto di salvataggio.
    Così i risparmiatori truffati non potranno chiedere nemmeno i danni e, fra questi dirigenti protetti, c’è il padre del ministro Boschi in carica.
    Stiamo diventando un paese sudamericano o mediorientale, dove chi governa è spesso un dittatore e non esiste, o quasi, la democrazia!

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    • Rebel

      Finalmente vediamo la faccia di questo governo, hanno fatto un scudo di legge per salvare i dirigenti delle banche che le hanno fatte fallire, fra i quali c’è anche il padre del ministro Boschi, facendo pagare i fallimenti a migliaia di poveri risparmiatori, e, sempre leggo da stampa e TV, che i dirigenti o consiglieri abbiano finanziato 180 milioni a società in conflitto… Questo sì che è grave!

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  9. Vauro

    I politici, con banchieri e furbastri, si rimpallano le responsabilità e, statene certi, tireranno avanti, insabbiando in commissioni e fumo e, ad essere fregati, saranno sopratutto risparmiatori e poveri cittadini

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  10. Robert Alto

    CONFINDUSTRIA ARRIVA SEMPRE TARDI!
    “””Da Radio24 e da Confindustria:
    La ripresa in Italia non decolla: per questo Confindustria abbassa le stime del Pil per il 2015 e il 2016.
    L’evasione fiscale invece blocca lo sviluppo e ammonta al 7,5% del Pil..(NON SO DA DOVE cONFINDUSTRIA RICAVI QUESTI DATI )
    Il prodotto lordo italiano per gli industriali crescerà dello 0,8% quest’anno e dell’1,4% nel 2016. “E’ gia’ accaduto che le statistiche dell’economia italiana fossero riviste, anche sensibilmente, verso l’alto – premette il Centro studi di Viale dell’Astronomia – per adesso però, ogni ragionamento deve partire dalla realta’ che attualmente dipingono. Una realta’ – prosegue Confindustria – che obbliga a ribassare le previsioni per il Pil italiano, perche’ ha conseguenze non solo sulla media di quest’anno ma anche sullo slancio ereditato dal passato”. Nel 2017 invece il Pil crescera’ dell’1,3%. ….””

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    • Robert Alto

      Non servivano Centri Studi, con chissà quante persone e spese/costi per noi; per capire… basta che i signori delle associazioni vadino sulle fabbriche e chiedino agli imprenditori … quale è la situazione
      LA CRESCITA, SE VOGLIAMO CHIAMARLA COSI’, E’ UN LUMICINO CHE RISCHIA DI SPEGNERSI; è generata dal basso costo del denaro, delle materie prime e del petrolio
      Più che una crescita la chiamere LANGUIRE …E MORIRE?!

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